SABATO 6 APRILE 2019 ORE 17:30 Galleria d’arte contemporanea L’OTTAGOLO – BIBBIANO

INAUGURAZIONE MOSTRA “EQUILIBRI ECOLOGICI” PRESSO LA GALLERIA D’ARTE CONTEMPORANEA L’OTTAGONO A BIBBIANO – RE

Presentazione del curatore Silvio Panini

Intervento di Antonio Zambonelli – Storico

La mostra rimarrà aperta fino al 28 aprile 2019

 

 

Gli eventi naturali nei quali m’imbatto, si trasfor­mano immediatamente in simbiosi con il mondo circostante; sono un flusso interrotto e mosso da­gli impulsi frenetici ed elettrici della contempora­neità, e cercano di focalizzare momenti e movi­menti nei suoi vari ambienti.

Con differenti soluzioni cromatiche, evocative d’immagini del passato e del presente, cerco di re­cuperare ed evidenziare quegli stilemi e quei valori inalienabili dell’uomo e della natura.

I temi svolti sulla natura, evocano un mondo in­contaminato, ormai per sempre perduto “forse” che tutti noi vorremmo recuperare, un habitat sug­gestionato da visioni naturalistiche, ma rielaborato secondo un mio modello artistico, che è soprattut­to filtrazione della realtà.

 

Resistenza e contemporaneità

 Dal 20 agosto al 13 settembre 2015  presso Festa Reggio (Campovolo) – Piazza cultura
Avrete l’occasione di visitare per il settantesimo della liberazione 1945 – 2015

” Resistenza e Contemporaneità “

Duecento metri quadrati di memoria con nostre opere partigiane (1939 – 1950) e arte contemporanea di artisti provenienti da tutta Europa – fotografia, pittura, scultura, video istallazioni, teatro, danza, letteratura – Allestimento curato da Salvatore Trapani e Elisabetta Del Monte (Art Resistance Shoah)

Giuliana Ghidoni incontra Braglia a Carpi

Attilio Braglia intona un canto alle meraviglie del mondo, siano esse naturali o artificiali. Egli narra di moderni miti, dopo aver scandagliato gli abissi e ritro­vato memorie colte in composizioni citazioniste.

Formatosi nell’am­bito del Realismo Esistenziale, il suo sguardo sul contemporaneo e il quotidiano ha l’acutezza del fotoreporter e riesce a far assurgere a rilevanza universale qualunque episodio dell’epica moderna, sia essa una gara sportiva, una corsa di cani, una gara di cavalli.

Sotto la lente del pittore il rito folkloristico del palio o quello sportivo della maratona sembrano incarnare la tensione del gesto eroico e la forza dell’agonismo supremo, sulla sua tela l’energia del movimento in­trappolato dal disegno esplode nel colore, nella matericità della sot­tile pennellata a rilievo, nell’abbagliante uso della luce che eviden­zia i contrasti dei piani per lo più sovrapposti.

Braglia rielabora lo spazio, elude l’impostazione monocentrica classica, spesso vincola le composizioni a più punti di fuga, a volte allarga la ripresa fino a superare le leggi prospettiche, si serve di parti di tela a monocromo per concentrare la rappresentazione su fasce o agglomerati, quasi a voler comprimere tutto il potenziale dell’energia che l’azione rap­presentata vuole far esplodere. L’uso di delimitazioni, di quadri nei quadri, di sovrapposizioni e di cornici dipinte internamente a quella fisica del quadro, riportano al frame cinematografico, alla succes­sioni di momenti rappresentati contemporaneamente, all’idea di compenetrazione e simultaneità, oltre che di apertura e di velocità, che riportano lo stile alla poetica futurista. Il pulviscolo alzato dagli zoccoli scalpitanti dei cavalli, le direttrici di fuga dipinte, le sovrap­posizioni di colori e ombre, uno sfuocato da fotografia mossa, riper­corrono l’idea della rappresentazione del dinamismo di boccioniana memoria, superano l’ambiguità delle soluzioni di Balla, tengono fede al diktat marinettiano, ma in una forma assolutamente contem­poranea. I quadri di Braglia sempre rappresentano il movimento, anche nell’apparente immobilità di un abisso marino, dove invece la vita è brulicante, e regalano allo spettatore un’emozione spontanea che nasce dalla freschezza e dall’originalità di un punto di vista che il pittore rende “sine lege”, nella libertà che si gode in un mondo fatto di contraddizioni. Braglia poi sceglie un luogo particolare da dove osservare la varietà del genere umano, da dove approfondire quella fenomenologia del contemporaneo che già aveva caratterizzato la sua formazione artistica, e nasce il ciclo dedicato ai treni. Luogo emblema­tico, o non-luogo per la moderna filosofia dopo Marc Augé, quello del­la stazione, dove di nuovo Braglia ripropone i suoi topoi: il dinamismo di “Quelli che partono” contro la fissità di “Quelli che restano”  e le ampie campiture cromatiche piatte e uniformi che incorniciano fotogrammi, pulsanti di azioni e di tensioni emotive, ricavati dalla conformazione stessa del treno con i suoi finestrini. Ribaltando il punto di vista da chi viaggia, e guarda oltre il vetro verso l’esterno, a chi resta, è lo spettatore che scru­ta dentro quella metafora dell’umanità in viaggio che il treno incarna.

Resistenza e Arte – Pittura partigiana

A. Braglia - installazione 50,5 x 41,50Un percordo espositivo che celebra la produzione pittorica di ex partigiani e artisti impegnati nella narrazione d’imprese che hanno portato alla nascita di un’iconografia nemoriale.

Dal 14 marzo al 25 aprile 2015 – Reggio Emilia CHIOSTRI SAN DOMENICO – Via Dante, 11

 

Treni che ci interpellano

T3Attilio Braglia, con le sue estese composizioni figurative dedicate ai treni e ai volti che dai finestrini dei treni ci guardano, compie una sorta di stupita meditazione sulla contemporaneità e sulla condizione umana.

Un bello e orribile / Mostro si sferra,/ Corre gli oceani / Corre la terra/…”. Così raffigura il treno, nel lontano 1863, Giosué Carducci nel suo Inno a Satana, che diventa inno alla macchina, alla ferrovia, al treno “forza vindice della Ragione”che spazza via l’oscurantismo ed apre alle umane sorti e progressive.

Anche per i futuristi, quasi mezzo secolo dopo, sia in letteratura che in pittura, il treno è emblema della velocità. Ma di una velocità non necessariamente “progressista”e che infatti devierà sovente verso il mito della guerra igiene del mondo, valori estetici a parte. Valori che in Braglia, e non solo per i suoi “treni”, sono ravvisabili in un originale recupero della dimensione umana ed umanistica.
Nella Francia del Fronte popolare 1936 1937, dei “congés payés”, il treno sarà simbolo gioioso delle vacanze al mare anche per i ceti popolari. Eichmann farà del treno, dei lunghi convogli di vagoni bestiame caricati di uomini donne bambini ridotti a Stuecke (pezzi) destinati allo Sterminio, una icona demoniaca del Novecento.
I volti che dai pertugi dei vagoni per Auschwitz puntano al cielo e cercano l’aria per respirare dietro intrecci di filo spinato sono un grido di angoscia che ancora ci ferisce.
Le figure che ci guardano mentre noi le spiamo dietro i grandi finestroni dei treni di Braglia ci ricordano a tratti, nella loro personalissima perfezione tecnica, il realismo magico dell’americano Hopper, figure imprigionate nel posto che temporaneamente occupano compiendo gesti ordinari: proporsi in canotta neorealista, denudarsi, sorridere, strillare ad un bimbo.
Dietro ogni figura c’è il sospetto di storie segrete, a volte inquietanti, soltanto vagamente intuibili. Figure, volti, corpi, posture che intrecciano momenti di sognati fatti di cronaca, citazioni da quadri barocchi, sorprendenti presenze mitologiche, poi anche elementi minerali, meccanismi, scorci urbani o geometrici che vi si sovrappongono per rispecchiamento.
Sguardi che escono dai confini del quadro, ora ammiccanti ora assorti a contemplare un punto lontano.
Una vita brulicante ci scorre innanzi, una vita che ci interpella sul viaggio della specie umana, sul senso di quel viaggiare, sulla memoria che ci costituisce.
Quasi una assorta speranza di recupero di senso, di rinnovata attesa di futuro che emerga dalle contraddizioni del presente. (Antonio Zambonelli)

Analisi 1999 di Sandro Parmiggiani

(…) Per Attilio Braglia la “nuova figurazione” diventa, dopo l’iniziale momento realista, l’approdo, il macerato riferimento cui, in fondo, resterà per trent’anni fedele. Già un dipinto del 1970, Interno esterno, è emblematico di questa adesione, nel suo evidente riproporre i moduli di composizione spaziale di un Ferroni. La superficie del dipinto è divisa da una banda orizzontale, che è una sorta di orizzonte, di ancoraggio del racconto in più “quadri” – tra di loro, anche se nell’immediato appaiono dissonanti, strettamente collegati – che l’artista viene svolgendo. Questa banda separa, e insieme accosta e fonde, due situazioni alternative che così vengono rese comunicanti, interagenti, come se quella linea fosse una frontiera che divide e unisce allo stesso tempo.

Un’altra costante compositiva dei dipinti di Braglia è l’addensarsi della rappresentazione di un punto: un brulicare delle immagini, un groviglio di segni, come se il quadro sempre avesse bisogno di una concentrazione, quasi ossessiva, di forme e colori, cui fanno da contrappunto vaste, libere campiture – in cui, magari, si proietta e incombe un’ombra, qualcosa che sta “fuori” della scena, ma che necessariamente vi entra. C’è, in molte opere di Braglia, una sorta di rapporto conflittuale tra luce intensa, quasi accecante – luogo dell’apparente massima capacità di vedere – , ed ombra, a volte cupa, appena accennata impronta di un corpo e di una forma, oscurità che cela la verità delle cose. Questo contrappunto tra luce e ombra, questo “montaggio” della scena per frammenti di realtà distanti e separate, questo irrompere sulla ribalta di ciò che dovrebbe essere “fuori campo”, con uno schermo in cui inestricabilmente si fondono realtà, memoria, sogno, dà vita ad immagini corrose dall’inquietudine, segnate da una sorta di sottile estraniamento.

(…) Certo c’è , in Braglia, un tributo, quasi ossessivo, alla silente vitalità della natura, al pulsare dell’esistenza vegetale e animale, o al movimento (palio, maratona, passaggio di un autobus) in se’. Presto, tuttavia, s’insinua in noi il sospetto che si tratti di un’elegia, di un rimpianto di qualcosa che è irrimediabilmente perduto o che il nostro occhio ormai diseducato abitualmente non vede nella sua bellezza fragrante. Forse questo sentimento spiega perché Braglia, nelle fasi conclusive di realizzazione dei suoi dipinti, ripercorra, con un pennello sottilissimo, le minute linee dei contorni di alcune delle forme, tanto da delineare un reticolo di piccoli filamenti di colore in rilievo, aumentando la profondità della scena e dando una sorta di illusione ottica, di stordimento della visione.

Sembra quasi, Braglia, credere che quella materia in rilievo, così amorosamente stesa, possa, in un qualche modo, farsi il corpo delle cose che rappresenta, di quell’esistenza che egli si ostina a dipingere, mentre incombe su di essa la minaccia dell’annientamento, della dissoluzione, del suo precipitare nel vuoto assoluto, quando nulla – né corpo, né colore, né suono, né profumo, né sapore della vita- più importa.

Giancarlo Romiti interpreta Braglia

Tra i pittori che operano in Emilia, Braglia è senza dubbio uno dei più vivi e dei più autonomi. Non è mai appartenuto ad un gruppo di tendenza. Pittore, “ sine – lege “, potrei dire. L’unica sua legge è sempre stata una dote profonda di spontaneità, un’emozionalità diretta di fronte alla vita, allo spettacolo del mondo. Ma insieme con ciò è da mettere senz’altro in primo piano anche il dono che egli ha si trasformare in traslato di favola ogni suo incontro, ogni circostanza della propria esistenza.

Le “impressioni di sogno” i “ricordi ecologici”, i “bestiari marini” non fuggivano a quest’ispirazione, anche se i termini del linguaggio si definivano allora in maniera diversa da quell’attuale. I termini stilistici di allora erano, infatti, più fermi e più “logici”.

A guardare i quadri più recenti, ci si accorge invece del nascere e del dispiegarsi di un linguaggio “straordinariamente libero” da paradigmi prefissati: un linguaggio cioè affidato in maniera incondizionata agli impulsi, alla fantasia, al fervore e alla fragranza delle sensazioni immediate  Braglia  oggi è un Braglia che è padrone della propria libertà, ne gode e vi si sprofonda dentro sicuro d’averne ormai in mano i segreti e le ipotesi, senza sgomentarsi davanti ai rischi che l’immaginazione gli propone con inesauribile gettito. Raffinatezza e innocenza, stupore e tenerezza, acutezza ed elementarità fluiscono insieme, come per incanto, sulla sua tela e dispongono gli oggetti, le figure, ogni altro “dato” seguendo un ritmo obbediente soltanto ad una sorta di dolcissima vertigine interiore. In questo modo sembra quasi che il quadro si componga da se, per un’intima energia prodotta, che Attilio Braglia asseconda non frapponendo schemi né diaframmi.

Nelle opere più recenti Braglia compie un “excursus” divertito e svagato, pungente e melanconico. Il contesto abitudinario della realtà in questo modo va in frantumi, come un uno specchio rotto in mille frammenti che riflettono a loro volta altri moltiplicati frammenti di realtà. Il singolare caleidoscopio di Braglia. E’ da qui che nascono i suoi racconti che spesso hanno l’andamento di “storia” candide e deliziose, fresche e brillanti come se egli dipingendo, eliminasse la buccia opaca delle cose per restituirle ad una loro primitiva verginità. E come si muove senza impacci e inibizioni, Braglia, dentro il labirinto della cultura figurativa contemporanea. Nulla è mimetizzato. Non c’è ragione, poiché è così sorgiva la sua vena pittorica che niente può intorpidirla e snaturarla. Ecco dunque una visione senza veleni, ecco un occhio che si apre sul mondo ancora con meraviglia, ecco un pittore che inventa una realtà urbana dove le contraddizioni non hanno soltanto il volto ostile della violenza. Sono ancora contraddizioni che restano umane, tali che basta a scioglierle la presenza dell’immagine e del sentimento poetico. Il sentimento e l’immaginazione di Braglia.

Lorella Klun analizza Braglia a Trieste

Lorella-Klun

Attilio Braglia ha fatto tesoro delle lezioni del passato, rapportandole al vivere contemporaneo; nelle sue opere indaga il movimento, in modo ampio e coinvolgente: da quello della natura, riflettendo sulla poesia della nascita immergendosi nella quiete cristallina dei fondali marini, per arrivare alle dinamicità urbane, nel veloce transitare della folla e nel movimento dei cavalli, lanciati nella frenesia del Palio o impegnati in gare ippiche.

Sono suggestivi e vitali pannelli mnemonici, nei quali fotogrammi di realtà si innestano al movimento della coscienza, reinterpretanto e attualizzando la filosofia di Bergson, secondo cui il tempo non esiste di per se ma come tempo della coscienza, e lo spazio non è che il tempo spazializzato, cioè un insieme di istanti messi vicini: “Se mi raccolgo dalla periferia verso il centro, se cerco al fondo di me ciò che più uniformemente, più costantemente e durevolmente è me stesso, trovo tutt’altro. Al di sotto di quei cristalli ben tagliati e di quella superficie congelata, vi è un flusso continuo, non comparabile a nulla di ciò che ho visto fluire. È una successione di stati, ciascuno dei quali preannuncia quello che lo segue e contiene quello che lo precede […]. In realtà, nessuno di essi comincia o finisce, tutti si prolungano gli uni negli altri

Il segno calligrafico di Braglia graffia le campiture piatte di fondo, secondo un ritmo che rende gli intrecci di gruppo vibranti e sottolinea i flussi dinamici, direttrici da cui si staccano, come improvvisi tasselli di memoria, elementi che cercano di conquistare il primo piano. La sua è una pittura pulsante, che unisce la minuzia incisiva del segno a campiture fatte di volute in espansione e di agglomerati cromatici svolti senza incertezze.

Energia e riflessione si alternano nello spazio della tela, in un contrappunto che amplifica la vitalità, la linfa creativa e le felici intuizioni di questo autore.

Lorella Klun